“Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo!”
Con queste celebri parole, il 5 luglio 1809, sua santità Papa Pio VII, rispose all’invitò rivoltogli dal generale Miollis di cedere a Napoleone il controllo sui territori dello Stato Pontificio.
A seguito di quello storico rifiuto, l’anziano pontefice fu tratto dai suoi appartamenti in palazzo del Quirinale per essere condotto di meta in meta in un esilio errante, prima di trovare definitivo asilo presso la remota fortezza di Fountainbleau.
Il prezioso “triregno”, simbolo dell’antico potere papale sui regni del cielo, degli inferi e della terra, si trovò così di colpo nelle mani di quegli occupanti tanto odiati dai romani, quanto illuminati.
I rapitori del papa, gli usurpatori del potere datogli da Cristo, perché così erano visti dalla modesta popolazione di una Roma ancora corte del Vaticano, si posero come obiettivi l’introduzione di quelle stesse norme che introdotte in Francia avevano reso una miglioria alla vita del popolo.
L’istituzione dei Palazzi di Città (i moderni comuni) con sportelli e servizi ai cittadini, nonchè l’introduzione degli uffici demografici e di statistica, dotati di registri la struttura dei quali era basata sul complesso sistema notale ecclesiastico.
Tuttavia il periodo della dominazione francese è ricordato soprattutto per l’applicazione dell’editto di Saint Cloud, promulgato nel 1804 ed introdotto in Italia nel 1809.
Pensato per limitare la diffusone di malattie infettive, limitava la sepoltura dei cadaveri “intra mura” solo ad un ristrettissimo numero di persone ed imponeva per tutti gli altri l’inumazione in moderni complessi cimiteriali pensati e costruiti con criteri che oggi definiremmo igienico-sanitari d’avanguardia. Nel novembre 1809 fu approvata l’edificazione di due nuovi cimiteri per la città di Roma, incaricati del progetto e di individuare le aree, furono i due architetti G. Camporese e S. Stern...
Le macro aree furono da loro inizialmente selezionate in base alla posizione: un cimitero avrebbe asservito alle esigenze della popolazione della sponda sinistra del Tevere, l’altro per la popolazione della destra; la posizione definitiva fu scelta per storia e morfologia del territorio. La prima zona della quale furono certi era ancora conosciuta col toponimo latino di “ager Verani”, si trattava di un terreno incoerente e collinare situato nei pressi dell’antica Basilica di San Lorenzo Fuori le mura, poco fuori Porta Tiburtina;
si presentava riparato, circondato di coltivazioni intensive e bassi dossi. Originariamente appartenuto alla famiglia dei Verani, fiancheggiava la Via Tiburtina e nel suo sottosuolo nascondeva ancora le antiche catacombe di Ciriaca: una perfetta continuità storica con il futuro progetto. La seconda area prescelta era quella compresa tra Monte Mario ed il Pineto Sacchetti, l’attuale Valle Aurelia o Valle dell’Inferno, anche in questo caso, la posizione era “conclusa”, circoscritta, l’idea di luogo in qualche modo protetto ed appartato per il riposo eterno dei propri cari, doveva sembrare all’epoca un requisito essenziale.
I lavori di entrambi i cimiteri furono avviati nel 1811 per subire un brusco arresto nel 1814 nel periodo della Restaurazione. Malgrado il progetto di un primo nucleo cimiteriale pensato dal Valadier per il complesso di San Lorenzo, entrambe le aree vennero abbandonate e, caduto il temporaneo dominio francese, si tornò nuovamente a seppellire i propri defunti nelle cripte delle chiese. La prevedibile ritrosia di Pio VII a sposare una normativa introdotta dall’occupante francese, dovette in qualche modo influenzare anche il suo successore Pio VIII, dovremo aspettare infatti fino alla salita al soglio di Gregorio XVI negli anni 30 dell’800 per tornare a vedere i primi parziali cambiamenti in fatto di igiene e sanità.
si presentava riparato, circondato di coltivazioni intensive e bassi dossi. Originariamente appartenuto alla famiglia dei Verani, fiancheggiava la Via Tiburtina e nel suo sottosuolo nascondeva ancora le antiche catacombe di Ciriaca: una perfetta continuità storica con il futuro progetto.
La seconda area prescelta era quella compresa tra Monte Mario ed il Pineto Sacchetti, l’attuale Valle Aurelia o Valle dell’Inferno, anche in questo caso, la posizione era “conclusa”, circoscritta, l’idea di luogo in qualche modo protetto ed appartato per il riposo eterno dei propri cari, doveva sembrare all’epoca un requisito essenziale.
I lavori di entrambi i cimiteri furono avviati nel 1811 per subire un brusco arresto nel 1814 nel periodo della Restaurazione. Malgrado il progetto di un primo nucleo cimiteriale pensato dal Valadier per il complesso di San Lorenzo, entrambe le aree vennero abbandonate e, caduto il temporaneo dominio francese, si tornò nuovamente a seppellire i propri defunti nelle cripte delle chiese.
La prevedibile ritrosia di Pio VII a sposare una normativa introdotta dall’occupante francese, dovette in qualche modo influenzare anche il suo successore Pio VIII, dovremo aspettare infatti fino alla salita al soglio di Gregorio XVI negli anni 30 dell’800 per tornare a vedere i primi parziali cambiamenti in fatto di igiene e sanità.
Fu infatti sotto il suo pontificato che, per ordine del Cardinal Vicario Carlo Odescalchi, vennero elaborate nuove normative cimiteriali, essenziali alla ripresa dei lavori del Nuovo Camposanto; così sarà detto il Cimitero di San Lorenzo, mentre saranno definitivamente accantonati lavori e progetti nell’area di Valle Aurelia, probabilmente a causa del toponimo popolare dell’area, comunemente denominata “Valle dell’inferno”.
L’inaugurazione si tenne nel 1835 e fu una solenne cerimonia officiata dallo stesso Odescalchi; durante la funzione, il cardinale ci tenne a sottolineare che quello sarebbe stato il cimitero per tutti i romani e che la sua benedizione avrebbe reso obbligatorio per ogni individuo essere sepolti in quel luogo consacrato, eccezion fatta, ovviamente, per: il papa, i cardinali, i vescovi, i prelati, i preti, i frati, le monache, i nobili e i raccomandati dai parroci. Ovvero, come ci ricorda il Belli in un famoso sonetto, l’obbligo non c’era praticamente per nessuno.
“Ieri a 23ma ora finalmente sto cimitero è stato benedetto t’assicuro che fu un carnevaletto per concorso de carrozze e gente “Le sepolture vecchie”, er papa ha detto “che d’ora in poi nun zerbino ppiù a gniente. Perchè ltutti li morti anneranno laggiù ssopr’an carretto. Però s’intenne da li papi in fori, e cardinali e vescovi, e pprelati e ppreti, e frati e monache e i signori e nun sarà puro accettato ognuno che se terrà da conto li curati...” Insomma via nun ciannerà gnissuno.”
Durante il pontificato di papa Gregorio, fu indispensabile tornare ad intervenire con opere di risanamento e migliorie alle sepolture a causa di un’epidemia di colera esplosa in città nel 1837; tuttavia quel che più servì a delineare definitivamente i tratti distintivi dell’intero complesso funebre fu certamente il celebre impulso creativo di papa Pio IX che salì al soglio nel 1846.
La controversa figura del Mastai Ferretti, si stagliò immensa in un panorama preunitario frammentato e decadente; l’impegno volto al rinnovamento ed alla modernizzazione della propria città e di tutto lo stato Pontificio fu ragguardevole, basti pensare alla lungimiranza posta nella rivoluzione intrapresa nell’ambito delle vie di comunicazione che cominciarono ad essere affiancate da rotaie o per esempio al sistematico restauro delle basiliche patriarcali, all’ora ancora meta di un ragguardevole turismo devozionale e indulgenziale. Potremmo affermare che in un momento di grave crisi religiosa, intuì le potenzialità dei nuovi mezzi per fare marketing: Abbellì, facilitò gli spostamenti, fotografò se stesso e Roma e cercò di fidelizzare i propri concittadini. La città santa dal 1846, fu tutta un brulicare di operai, impalcature e cantieri; opere pubbliche, vie di comunicazione, scavi archeologici, non ci un settore dell’edilizia che non rimase contagiato da questa febbre di rinnovamento. In pochi anni questo fervore di cantieri, arrivò anche fuori porta: intorno al 1850 ebbero inizio i lavori di risanamento dell’antica Basilica di San Lorenzo al fine di isolarla definitivamente dalla rupe che incombeva sul suo lato sinistro provocando continui crolli e problemi dovuti all’umidità.
Il cantiere fu affidata all’architetto Virginio Vespignani che, affiancato dall’archeologo Giovan Battista De Rossi, sistemò anche l’internò della Basilica laurenziana per poi passare ad occuparsi del riassetto della disordinata area cimiteriale.
In quegli anni l’area cimiteriale si presentava ancora come una vasta radura solo parzialmente recintata; nascoste dalle basse colline che lo contornavano, sepolture a terra individuabili da croci in legno ed una schiera di tombe a pozzo disposte disordinatamente intorno ad una cappella lignea ai lati della quale si stagliavano due lunghi muri in funzione di quinta per l’alloggiamento dei monumenti a parete. Malgrado molti anni di lavori e l’intervento di tre architetti, nulla di più per il Campo santo della città eterna.
Vespignani non si limitò a progettare un completamento degli scarsi volumi edificati ma immaginò un progetto completamente nuovo che prevedeva un sostanziale riassetto degli spazi e delle aree; nulla delle vecchie tombe e strutture lignee e murarie fu risparmiato dalla graduale demolizione.
A dimostrazione della pianificazione dell’opera, basti pensare che la cantierizzazione fu preceduta dall’affissione di cartelli con la quale si invitava la popolazione cittadina a scaricare qualsiasi materiale di risulta in zone ben definite fuori Porta Tiburtina al fine di spianare tutta l’area circostante; anche i dossi presenti tra le mura aureliane e l’antico Castro Laurenziano, furono portati a raso.
Una volta immaginata la nuova viabilità, con lo Stradone del Campo Santo a sostituire l’antico sterrato della via Tiburtina, poterono partire i ben più impegnativi cantieri cimiteriali, che riguardarono contemporaneamente più aree: la Rupe del Pincetto, con il suo isolamento e le sue sostruzioni;
la costruzione dell’ambizioso quadriportico suddiviso in quattro riquadri con ordinate tombe a pozzo; la sostituzione dell’antica cappella lignea del Valadier con una Cappella in muratura consacrata a Santa Maria della Misericordia. Gli ultimi interventi eseguiti sotto la guida dell’architetto pontificio, furono quelli riguardanti la cinta muraria, l’isolamento della Rupe Caracciolo e la realizzazione dell’ingresso monumentale che non vide mai ultimato.
Il fine lavori fu imposto dalle truppe Garibaldine e da una breccia che squarcerà per sempre le ambizioni di un pontefice che fu l’ultimo monarca assoluto del regno dei cieli in terra.
Meno ampia e meno nota della breccia di Porta Pia, sarà quella aperta lungo il perimetro del Verano dai bersaglieri di passaggio, per colmare la quale e per terminare l’ingresso monumentale, la nuova amministrazione cittadina sarà costretta a nominare due nuovi architetti: Mercandetti ed Erosh.
La Roma umbertina crebbe a dismisura: incrociando i dati degli stati delle anime del 1850, alle statistiche dei censimenti post unitari, scopriamo che si passò dalle circa 150.000 anime iniziali alle 209.000 del 1871, alle 269.000 del 1881, alle 416.000 nel 1901, fino a raggiungere il mezzo milione di individui nel conteggio del 1911; un rapporto di crescita esponenziale che avrebbero condotto ad una mortalità sicuramente proporzionata.
Tutto ciò portò ad un progressivo aumento della superficie cimiteriale utile, reso possibile grazie all’acquisto di tutti i terreni compresi tra la ferrovia e la Via Tiburtina.
Grazie a quest’espansione, nel 1880 in poi venne messa a punto l’urbanizzazione dell’area del pincetto nuovo con la costruzione del grande serbatoio centrale e la disposizione dei riquadri a raggiera, si delimitarono aree specifiche e dedicate per i seppellimenti degli israeliti ed acattolici, venne costruito il forno crematorio in stile egizio, si eresse la sala incisoria ed intorno al 1890 cominciarono a vedere la luce le caratteristiche “scogliere”sorte a ridosso dei contrafforti di sostruzione delle varie rupi.
Zone quali “altipiano pincetto” e “bassopiano pincetto” verranno sfruttate ed urbanizzate a partire dal al 1905.
Successivamente al primo conflitto mondiale, sorsero riquadri dedicati ai caduti della Grande Guerra e solamente nel 1928, su progetto dell’architetto De Vico, venne edificato il Sagrario Militare per i caduti di tutte le guerre.
Pochi furono i cambiamenti che stravolsero la fisionomia e l’assetto prevalentemente ortogonale del Verano dall’inizio del 1900 ad oggi; solo l’acquisizione di nuovi terreni verso lo scalo merci San Lorenzo negli anni ‘50, diede vita ad una nuova zona di edifici e riquadri sfruttati fino agli anni ottanta del ‘900, denominata tutt’ora ”zona ampliamento”. Ad oggi il Cimitero del Verano è un bene tutelato, un Cimitero Monumentale sul quale verte un vincolo strutturale che ne pone le sue tombe ed i ricordi che custodisce alla stregua di opere d’arte. Camminando tra il silenzio di quei viali verdi pensati da grandi architetti, potreste imbattervi in nomi e ritratti di personaggi illustri, come nelle opere di quegli artisti che hanno contribuito a rendere immortali le nostre arti. Inutile stilare sterili liste di nomi, se approcciato con rispetto, sarà lui a svelarvi viale dopo viale i suoi ombrosi segreti...