I primi artigiani s’insediano presso il Verano

Il fervore rivoluzionario che accendeva l’animo in migliaia di italiani, contagiò anche Sua Santità Pio IX, che nell’entusiasmo riformista, avviò scavi archeologici, fondò istituzioni di tutela artistica e intraprese grandi opere di restauro nelle antiche basiliche paleocristiane.

Grande intuizione fu l’adesione alla modernizzazione del sistema dei trasporti che in quegli anni stava trasformando il panorama delle campagne italiane e soprattutto il concetto di distanza stessa. Nascevano infatti in quegli anni le prime strade ferrate. Prima su tutte la borbonica Napoli - Portici, ben presto seguita dalla papalina Roma - Velletri.
Fu presto lampante che il concetto di collegare centri rurali e popolosi in modo diretto alla futura capitale era assolutamente vincente. Manodopera. Merci. Bestiame. Armamenti. Tutto a portata di rotaia.

Purtroppo l’urgenza degli eventi storici non diede modo all’anziano pontefice di portare a termine il suo progetto, che, seguendo i tracciati delle antiche strade consolari, avrebbe visto assi di collegamento ferroviario allineate approssimativamente con i quattro punti cardinali.
La breccia di Porta Pia avrebbe di lì a poco interrotto l’operosità di quell’ultimo Papa re che fece in tempo a vedere inaugurate solamente alcune linee di corriere a cavallo su rotaia; bisognerà attendere il primo Piano Regolatore ipotizzato per Roma Capitale nel 1871, per vedere attuati tanti progetti paradossalmente immaginati da quel Pio IX tanto aspramente combattuto e duramente spodestato.

Tra esse la realizzazione della linea ferroviaria Roma – Tivoli, che andava a sostituire l’antica e lenta corriera a cavallo. Il progetto della stessa, risaliva al 1867.
Pochi chilometri fondamentali che terminando la loro corsa fuori Porta Tiburtina, precisamente nel grande Piazzale sterrato fronteggiante la storica Basilica di S. Lorenzo, sancivano la fine di un’era fatta di cavalli, assalti e diligenze ma soprattutto contribuivano ad agevolare il trasporto del travertino nella capitale e facilitavano l’arrivo di maestranze pronte a svolgere lavori specializzati e opere di manovalanza.

A breve intorno alla storica stazione del Verano, - poco più di un binario morto in una radura e che a furia di spostamenti troverà la sua definitiva sistemazione presso l’antico dazio di Porta Tiburtina - sorse un ampio borgo di artigiani marmisti che sfruttando l’enorme facilitazione dell’infaticabile ferrovia, fecero del desolato Campo Santo di Roma, il monumentale Cimitero Verano di oggi.

Grandi artisti e grandi artigiani dalla moderna visione imprenditoriale sottrassero ampi spazi di verde alle immense vigne Cantoni, Quatrini e D’Antoni, edificandovi le loro botteghe con annesse abitazioni. 

Cominciarono così a sorgere palazzotti dall’aspetto rustico ma signorile, intorno ai quali la campagna circostante a poco a poco cedette il posto alla scadente edilizia popolare che andò a soddisfare le povere esigenze abitative di quella classe emergente che offriva manovalanza per soddisfare le sempre crescenti richieste di manodopera di una Roma in espansione.

Lo sviluppo irrefrenabile proseguì fin quando i due volti del commercio si espansero a tal punto da finire per toccarsi ed i rappresentanti del primo proletariato urbano, si ritrovarono alloggiati fianco a fianco agli esponenti della media borghesia di zona, residenti nelle loro belle villette, alcune ancora distinguibili dai nomi incisi sulle sobrie facciate inizio secolo.

Frioli, Biondi, Ricci, questi solo alcuni nomi delle prime dinastie di quegli “artigiani del vapore” che cavalcando le prime risorse tecnologiche offerte dalla crescente febbre tecnologica di fine ‘800 mostrarono ai colleghi le possibilità di un settore ancora in espansione. Le segherie con le loro ciminiere fumanti ed il rombo assordante delle loro enormi meccaniche dalla trasmissione a puleggia, sfidarono così la secolare egemonia delle piccole botteghe, caratterizzate dal timido vociare metallico degli scalpelli. La prima e la più grande di esse, fu quella inaugurata da Leopoldo Frioli nel 1889 lungo Via dei Reti, all’epoca poco più di un tracciato sterrato tra sentieri poderali, quegli stessi viottoli presenti nella moderna toponomastica che vedranno fiancheggiarsi e coesistere nei decenni a venire modernità e tradizione, sfidando mode e cambiamenti.

Battersi contro i primi stabilimenti a vapore, sarà come per gli indiani combattere le prime ferrovie: una sconfitta annunciata; non avranno certo vita facile quelle famiglie che da generazioni si tramandavano un’arte da custodire esclusivamente tra le mani, come i Rossi, maestri scalpellini, ora come pochi, all’epoca come tanti.
Il vecchio Cesare, prima di morire nel 1892, tramandò in bottega le sue conoscenze ai figli: Cosimo ed Armando; lo stesso fece il fratello con i propri eredi: Angelo ed Augusto, proprio come si sarebbe fatto in una bottega d’arte ai tempi del Rinascimento. 

Ancora oggi possiamo trovare traccia del loro impegno tra i viali della zona più antica del Cimitero Monumentale di Roma perché proprio in quegli anni le semplici croci in ghisa offerte in vendita dai “crociari” e fuse nelle tante fonderie della zona, cominciarono a lasciar spazio agli equivalenti in marmo che, da elemento di decoro per i palazzi del potere, assunse gradualmente l’attuale connotato di corredo eterno che tutt’ora gli riconosciamo.
L’elettrificazione dei laboratori, l’aumento di offerta di manovalanza e la facilità di reperimento dei materiali permisero un veloce abbattimento del costo del prodotto finito ed un conseguente aumento dell’offerta. 

Nel giro di pochi anni, a cavallo del ‘900, si sviluppa una rete completamente autonoma, sufficiente al mantenimento dell’intero indotto produttivo del Cimitero del Verano ed in parte sufficiente a soddisfare le richieste capitoline.
Mastri ferrai, vetrai, muratori, carpentieri, fornaciai, tornitori, fonditori, pittori, mosaicisti, scultori, vagando per le vie di un quartiere brulicante e vitale, avreste potuto trovare un universo di saperi e professionalità ormai in parte scomparsi, accomunati da un unico denominatore: l’artigianato, l’arte del saper fare.

I primi artigiani s’insediano presso il Verano

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