I Fratelli Furioli: moderni imprenditori

Il complesso contesto socio economico che caratterizzò l’Italia e l’Europa dopo il Secondo Conflitto Mondiale, rese la ripresa dell’industria molto lenta, soprattutto in una San Lorenzo sfregiata, devastata fino alle fondamenta.

Dai laboratori alla Basilica del Santo Patrono del quartiere, senza risparmiare il Cimitero Monumentale, le infrastrutture e gli impianti di approvvigionamento.

Per riprendere qualsiasi attività in un quartiere lacerato, fu indispensabile ricucire gli strappi, ripartendo dalle reti fognarie, elettriche ed idriche.

Ci vollero anni prima che uno dei più importanti poli produttivi della capitale si riappropriasse del suo status all’interno dei mercati, ma non tutte le aziende furono pronte a scommettere sul futuro di un’Italia appena uscita da un duro conflitto. La famiglia Rossi fu una di quelle. Il loro grande laboratorio concluse definitivamente la sua produzione quel 19 luglio 1943. Senza preavviso. Senza immaginarlo.

La famiglia non si riebbe dal duro colpo inflitto e lo stabilimento vide molti anni di abbandono prima di poter tornare all’utilizzo. Utilizzo che tuttavia sarà solo parzialmente rispettoso dell’originaria destinazione d’uso. La grande area fu infatti frazionata in molte particelle dai più disparati usi: depositi, cantine, laboratori e negozi. Un vero e proprio piccolo borgo autonomo pregno di piccole realtà indipendenti, accomunate solo dal cielo di San Lorenzo.

Qui nel 1954 trovò posto anche un nuovo marmista: l’impresa Furioli, che rilevando la vecchia licenza dell’impresa Rossi, si trovò ad occupare il fronte strada dell’antico laboratorio e tutta l’area retrostante.

La scelta dei Fratelli Primo e Vittorio Furioli, di proseguire l’attività cessata tanto repentinamente dalla precedente gestione, influenzò non poco molte delle scelte a venire: gli spazi appena ricavati nel nuovo cantiere, vennero suddivisi in aree distinte di lavorazione, con una concezione molto moderna per l’epoca: il piazzale con il suo carro ponte, il capannone provvisto di macchinari adeguati alla lavorazione esclusivamente di blocchi e grandi spessori,

il cantiere per le lavorazioni quotidiane, completo di tutte le più moderne macchine che i tempi potessero offrire ed un ampio ed arieggiato spogliatoio. Nel 1964 il complesso sarà ulteriormente ampliato con l’annessione di tutto il fronte strada, trasformato da officina meccanica ad esposizione, archivio e segreteria.
Dopo oltre sessant’anni, a riprova dell’ottima ingegnerizzazione, gli spazi superstiti conservano ancora la stessa destinazione pensata nel 1954. Durante quegli anni così preziosi per la ripresa economica di un’Italia in cerca del consenso internazionale, anche la piccola e media impresa apriva di buon grado le sue porte alle innovazioni ed alle migliorie, facilitando alla nostra economia la ripresa dei nostri mercati interni.

Nel suo piccolo, anche l’impresa Furioli, dotò i propri dipendenti di qualsiasi ritrovato tecnologico ed impiantistico all’epoca disponibile: canalizzazione, raccolta, decantazione e riciclo delle acque reflue, serbatoi idrici di emergenza, due impianti di aria compressa ad atmosfere diverse, servizi igienici per il personale. Tutto questo non deve apparire così scontato agli occhi di chi legge, norme come la 626, riferite alla sicurezza dei luoghi di lavoro, sono relativamente recenti ed in un ottica artigiana, degli anni cinquanta o sessanta, spostare l’attenzione dalla produttività, per focalizzarla sulla salubrità dei luoghi, sarebbe stata considerata quasi un’eresia.

Quindi ne ricaviamo il quadro di una famiglia dà una visione molto moderna della propria piccola bottega artigiana, oggi diremmo “imprenditoriale”, sicuramente molto lungimirante ed organizzata, nella quale ogni componente della famiglia aveva un ruolo ben preciso e determinante per far funzionare un perfetto ingranaggio.
L’impegno profuso fu molto ed il consenso del mercato fu ampio, basti pensare che in pochi anni la loro fama e le loro maestranze raggiunsero i mercati, pressochè vergini del Sud America, dove lavorarono su restauri di chiese, altari e nuovi edifici di culto, intuendo, ancora per primi l’importanza delle relazioni diplomatiche anche nel mercato dei marmi e dell’artigianato in genere.

L’occupazione principale rimase tuttavia l’edilizia cimiteriale che contraddistinse l’intera produzione monumentale a massello prodotta negli anni presso l’impianto di via Dei Reti 21, 23.

L’apertura del nuovo polo cimiteriale urbano di Prima Porta, avvenuta a metà degli anni ‘60, provocò il decentramento dell’area produttiva del Verano, portando ad un graduale calo di visibilità di tutte le attività coinvolte nel settore; nuovi capannoni visti con sospetto iniziarono a sorgere lungo le vie Flaminia e Tiberina mentre i gloriosi laboratori di San Lorenzo cominciarono a spopolarsi ed a chiudere uno alla volta le loro serrande.

Malgrado la desertificazione ed il mancato ricambio generazionale, Primo e Vittorio mantennero in funzione la propria attività senza scendere a patti con un mercato ed un settore irriconoscenti verso chi contribuì a portarli verso una maturità tecnica ed espressiva.
Con mezzi e personale ridimensionati, dopo la scomparsa di Vittorio, sopraggiunta nel 1977, il fratello, proseguì mantenendo in vita il solo settore lapideo dell’impresa. Primo si spegnerà nel 1983, decretando la fine di un sogno imprenditoriale che sfidò i cambiamenti di quattro decadi.
Gli artigiani non cambiano, furono i mercati a cercare di cambiarli.

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